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L’occhio del leopardo, di Henning Mankell

Recensione a cura di Cristina di "Racconti in valigia"

Il romanzo di Henning Mankell oscilla tra Svezia e Zambia, tra un passato e un presente che si intrecciano fino a diventare un tutt’uno.
Il collante è Hans Olofson: svedese, figlio di un padre ex marinaio ora boscaiolo e di una madre andata via quando lui era un bambino. Trascorre la sua adolescenza in compagnia di Sture e della donna “senza naso” fino a quando la vita non farà loro uno sgambetto e Hans si ritroverà da solo con un padre ubriacone dal quale ha ereditato  la passione viscerale per il mare e per le terre lontane. Inadeguato per la realtà che lo circonda e deciso a realizzare il sogno di Jennie, la donna senza naso, parte alla volta dell’Africa diretto alla missione di Mutshatsha, vicino Lukasa, Zambia.
Originariamente concepito per restarvi solo alcuni giorni, il viaggio in Africa si trasforma in una lunghissima permanenza come bwana, padrone.
Venti lunghi anni in cui anche noi lettori possiamo sentire l’odore della terra africana, vedere i tramonti infuocati, lasciarci meravigliare dalla sua bellezza e allo stesso tempo temerla; dormire con un revolver sotto al cuscino perché i neri non vogliono più i bianchi nella loro terra. Comprendere l’arroganza dei bianchi anche laddove è vestita di bontà nel pensare di aiutare questa gente partendo dai nostri concetti. Ma ci sono differenze di colore nel pensiero stesso, il pensiero bianco non sarà mai nero: intriso di credenze, antenati,natura e grande dignità.
Non è possibile comprendere l’Africa fino in fondo, ce lo insegna Hans e  Mankell ci prende per mano in questo continente.
Vent’anni dopo, Hans si ritroverà allo stesso aeroporto da cui era arrivato, e noi con lui.
È stato un viaggio vero, come volare sul sole rosso dello Zambia o avvertire la presenza costante dell’occhio del leopardo e calpestare la sua terra rossa.
Tutti noi lettori portiamo un pezzetto di Africa, lo stesso che Hans porta con sè nel suo viaggio verso casa.
<< Porto l’Africa dentro di me come il suono lontano dei tamburi nella notte. Un cielo stellato di una purezza che non ho mai visto altrove. I cambiamenti della natura sul diciassettesimo parallelo. L’odore del carbone di legna, i miei lavoranti che odorano sempre di sudore stantio. Le figlie di Joyce Lufuma che procedono un fila indiana con il loro carico sulla testa>>.
 
Ho apprezzato questo libro per la sua potenza evocativa e perché Hans è un po’ tutti noi alle prese con i dilemmi della vita, dell’andare o restare, sentirsi fuori posto. Prendere per mano il coraggio o forse la follia.
Abbiamo tutti un viaggio da raccontare e un altro che ci aspetta.

La mia amica Cristina propone libri da leggere per ogni destinazione. Un bel modo per entrare già nello spirito del luogo.
Potete trovarla su
Fb: racconti in valigia
IG: cri_emme_blue
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